«Addio, Lugano bella», «Oh Lugano, tu sei la più bella»: sono canti che inneggiano alla nostra città. Si tratta rispettivamente di una popolare canzone anarchica e di un inno del Partito liberale. Quell’aggettivo è appropriato, perché Lugano, affacciata sul suo lago e con ai lati, come due sentinelle, il Brè e il San Salvatore, è veramente bella, da sempre. Con Mario Agliati, storico attento e con Lugano nel cuore, leggiamo un po’ di passato di questa città, attingendo a piene mani in due sue pubblicazioni.
Si tratta di «L’erba voglio» (1981), sigla per le citazioni Lev, e «Lugano del buon tempo» (1983), sigla Ldbt. Ascoltiamolo: «Chiudo gli occhi, rivedo quel mio tuorlo, quella mia mandorla di mondo: la via delle Scuole e di là il corso Pestalozzi, i giardini di sempreverdi fitti, pieni di un’ombria cupa, oltre i quali s’indovinavan le case dei Lucchini, e via al Forte che fa gomito e, per dirla nel gergo dei tecnici, raccorda l’una e l’altra strada, e s’allunga con la straduzza dell’Orfantrofio verso l’Oratorio maschile; e poi la piazzetta della Posta, e il palazzo postale col suo bel torracchione dalla cupola di verderame, e il palazzo delle Dogane co’ suoi portici, freddo, massiccio, grigio, che pareva di ghisa... Chiudo gli occhi, e li riapro sulla presente realtà: oh come molte cose sì son rimaste tali e quali, ma come altre son cambiate, cadute, volate via: sassi, ferri, legni, vetri, e gente, e l’animo mio soprattutto» (Lev, pag. 8).
La panchina del… contarla su
Dentro l’alone della memoria, Agliati rivede «le buone donnette, sedute, le sere d’estate, sulla panchina di sasso presso uno scamillo del portone», che facevano «un gran dissertare di dottori e di malattie, di ospedali, di cliniche, di operazioni, di dormie, di cure, di medicine».
Pure «dopo le benedizioni del mese di maggio, per le strade del ritorno era un comune diffuso discorrer di reumatismi, di emicranie, nefriti, e morbilli e orecchioni, ch’eran le due malattie infantili volgarmente chiamate ravisc e maa dal sciatt». Così «ai mie orecchi bambineschi sempre ronzò il suono di certi nomi d’allora per me poco men che misteriosi: il Perini, il Quirici, il Bischoff, il Gianella, il Vella, il Pedotti, lo Zbinden, l’Amerio, il Maggioni, il Demaria; ch’eran i nomi da propri diventati quasi comuni dei dottori allora più in vista della città» (Lev, p. 113).
…