L'attesa del Natale agli occhi di una bambina

Luciana Antonini

Sui vetri ricamati dal ghiaccio, con le dita intirizzite dal gelo, scrivevamo la letterina al Bambin Gesù. Durante la notte, mentre noi dormivamo stretti l’un l’altro, lui sarebbe sceso dal cielo, lasciando ai piedi dell’alberello tre pacchettini rossi.

A fine ottobre, prima dei Morti, la nonna tornava dal bosco con l’ultimo carico di legna. Scaricava l’enorme gerla nella legnaia all’asciutto e al riparo dei ladri.

Poi si faceva sull’uscio, le mani sui fianchi, soddisfatta e sollevata. Fiutava l’aria e se ne usciva a dire: «Er’aria l’è crüda, la pònge! Stanöcc al fiòca». Non sbagliava mai. Arrivava puntuale l’inverno. Cadeva la neve soffice, abbondante. Regalava calma, riposo, vicinanza e silenzio. Anche il cuore della terra rallentava il suo ritmo, sanava il corpo dalle fatiche e invitava a sperare. Si stava insieme, attorno al camino a rubare quel caldo buono, profumato di bosco e di fumo. Ristorava il corpo e rallegrava l’animo. Il nonno, con le sue mani dure come il legno, scuoteva, con gesti decisi, la padella bucherellata delle caldarroste (i mondàda).