#Stile libero | 16/04/2022

Don Feliciani e l'ideale della fraternità

Giuseppe Zois

I valori, i significati, la forza che viene dal messaggio cristiano nella luce decisiva della Risurrezione affiorano in questa densa e luminosa intervista in cui il «parroco di frontiera» ripercorre il suo cammino..

Prima di diventare arciprete di Chiasso, don Gianfranco Feliciani ha svolto il suo ministero a Pazzalino e Tesserete.

Siamo a Pasqua. C’è la luce della primavera con i suoi meravigliosi colori e c’è la luce dello spirito che si alza e irradia dal giorno più buio, quello del Venerdì Santo sul Calvario. In una delle ultime interviste, chiesero al cardinale di Milano, Carlo Maria Martini, quale fosse per lui il segno, il miracolo più grande tra i molti compiuti da Gesù e raccontati dal Vangelo. L’intervistatore, laico matricolato, si aspettava uno dei prodigi più eclatanti, tipo la risurrezione di Lazzaro o della figlia di Giairo, oppure la moltiplicazione dei pani e dei pesci. C’è l’imbarazzo della scelta. Martini rispose sorprendendo l’interlocutore: «La lapide rovesciata del sepolcro», che è il primo simbolo della Pasqua, cuore del messaggio cristiano.
Nelle parole di don Gianfranco Feliciani, in questa densa e luminosa intervista, c’è la stessa filigrana del sentire di Martini: che è la Risurrezione di Gesù, con tutto il significato che spalanca per la vita dell’uomo, di ogni uomo. Don Feliciani è un parroco di frontiera: non soltanto perché il suo avamposto d’Annuncio è a Chiasso, città di confine con tutto il relativo corollario di situazioni e vicende. La frontiera alla quale si fa qui riferimento è soprattutto quella da raggiungere e varcare, simbolica ma impegnativa e al tempo stesso gratificante e gioiosa se ci si mette sulle orme di Gesù, che è quella dell’amore.
E qui mi piace ricordare un’altra intervista, dove a parlare era Jean Rostand, famoso genetista e biologo francese. Diceva: «L’educazione, invece di sviluppare unicamente il sentimento di emulazione, di concorrenza, di competitività, dovrebbe far crescere l’amore. Credo in questa educazione affettiva. Non si deve neanche esagerare con il sapere, se è per farne lo strumento di un dominio. Rispetto il sapere, amo la verità… non c’è dubbio! Ma vedo la salvezza solo nell’amore. Non vedo che questo. Sarà sufficiente?». Particolare non trascurabile: Jean Rostand era ateo. E ci ha lasciato uno sfolgorante insegnamento di sorgente cristiana. Nelle risposte di don Gianfranco c’è questo percorso che si intravede nitido, invitante, aperto a tutti. È richiesta solo la disponibilità a farsi permeare da questa certezza, che è un impasto di dignità, fraternità, anche gioia. Cioè: il Vangelo.

Il cammino proposto con ostinata determinazione da don Feliciani è questo e lo sta facendo nelle tappe del suo ministero di presenza, di sostegno, di accompagnamento: da quand’era vicario a Minusio e poi a Pazzalino per un breve passaggio prima di essere prevosto a Tesserete e quindi arciprete di Chiasso. Comunicazione coraggiosa, dialogo franco sorretto dai segni, parole da riscoprire come compassione, condivisione, misericordia, con un unico sinonimo che è amore. «Se finisce l’amore, perdo la bussola», disse Rostand. Pensiamoci un po’. Per Pasqua.