#Stile libero | 15/04/2024

La favola in sella di Mauro Gianetti

Giuseppe Zois

Da corridore o da uomo-squadra, Mauro Gianetti veste da anni la maglia del protagonista di un’avventura straordinaria. Dalla prima vittoria al GP di Torricella-Taverne all’attuale ruolo di manager negli Emirati Arabi, passando per i Mondiali di Lugano, si confida in una chiacchierata a cuore aperto.

Rivedendo mentalmente alla moviola la sua vita e la sua carriera, spaziando tra ricordi, volti, uomini e storie che l’hanno segnato, gli ho chiesto cosa si sentirebbe di consigliare a uno che volesse fare il corridore oggi. La sua ricetta: «Passione per il ciclismo e divertimento nell’andare in bici. Non è uno sport al quale pensare per essere subito professionista e fare tanti soldi. Devi sentire il fuoco dentro. Il visionario è uno che ha un obiettivo preciso e lavora per centrarlo; il sognatore invece immagina qualcosa di bello, preferendo aspettare che succeda».
Non è un caso se a 60 anni Mauro continua a vivere da ostinato visionario piuttosto che da ingenuo sognatore. Questo lungo viaggio dall’infanzia al futuro lo comprova.

Isone paese del cuore: ogni passo, un ricordo
Sei cresciuto a Isone, ultimo paese di una piccola valle, la Carvina. Cosa ha significato e significa per te il paese? «Ho abitato a Isone fino a 21 anni. Lì c’è il forte legame del cuore. Mia mamma Bice e un fratello, Luca, che portano avanti il ristorante di famiglia, il Vedeggio. Lì ho gli amici d’infanzia, i luoghi che hanno orientato la mia esistenza. In questo piccolo grande universo, ogni passo è un ricordo. Isone è un paese di montagna, con ricchezza di relazioni profonde che ti restano dentro tutta la vita».
Da ragazzo eri mosso dalla curiosità di guardare oltre, verso l’infinito. Una sorta di anticipazione di futuro… «Occorre tornare indietro di 45-50 anni e immergersi in quel tempo, al crepuscolo della civiltà contadina che scandiva ancora la vita della comunità. Il solo pensiero di scendere a Camignolo, in fondo alla valle, era già uno sconfinamento emozionante. Per me poi, il poterlo fare diversamente dagli altri, in bicicletta – perché avevo già iniziato a correre – mi trasmetteva una dimensione più grande dello spazio. Là, dove potevo arrivare con la bici, mi dava il sapore di una conquista nella passione dello sport di cui mi ero innamorato».