#Stile libero | 21/03/2023

Ciao Sonvico ti scrivo…

Giuseppe Zois

Massimo Soldati ha vissuto, come molti, la fine della civiltà contadina a metà Novecento e l’inizio della modernità. Settant’anni durante i quali c’è stato un cambio radicale dentro le case, nei paesi, dappertutto. Tra le pagine di «Ciao miseria», Soldati racconta la realtà di Sonvico, il «suo» paese.

Massimo Soldati e molti coetanei di quest’arco di tempo hanno vissuto il passaggio dalla «miseria» diffusa al benessere con moltiplicazione delle comodità, calo delle fatiche e un’esistenza via via più confortevole. Un poderoso balzo in avanti che lasciava stupiti per le continue conquiste, che cominciavano però a presentare il conto. Dalle stagioni in cui si respirava la serenità ci si inoltrava in un presente sempre più veloce e sollecitante, a tratti anche convulso. Bisognava accelerare il passo, irrompeva nei giorni una parola nuova: stress. Ogni moneta ha il suo dritto e il suo rovescio e così ogni umano percorso.
Con salde radici a Sonvico, dove ha fatto il municipale, il sindaco e il presidente di varie associazioni e istituzioni pubbliche, Massimo ha lavorato per 47 anni a Manno, sempre nella stessa ditta, dove entrò da impiegato e ha salito la scala fino a diventarne condirettore. Avrebbe potuto stabilirsi lì, dove il moltiplicatore era al 55% contro il 100% di Sonvico: ha sempre rinunciato per l’attaccamento alla sua terra. Questo si chiama amor di paese.
Conserva ricordi nitidi che viaggiano dall’infanzia al presente. Correva il 1958 quando entrò in contatto con i cantieri, dove posavano i pavimenti in legno: «Portavo i calzoncini corti e la Lugano di allora faceva correre in su e in giù i vecchi tram. C’era qualche carrozza trainata da cavalli, le rive del lago Ceresio erano ancora libere e la sicurezza dei cittadini era completa». Per fortuna ci sono le foto di Vincenzo Vicari a documentarci quegli anni che ai ragazzi d’oggi paiono giurassici. A quei tempi l’operaio più pagato riceveva 2,35 franchi all’ora e – osserva Soldati – si lavorava anche il sabato fino a mezzogiorno. Sono passati 65 anni, l’età in cui si va in pensione: un periodo punteggiato – come per tutti – dalla quotidianità con le inevitabili luci e ombre.