#Approfondimenti | 14/10/2022

Da vecchie masserie a case della solidarietà

Luciana Caglio

Ha cominciato il Canvetto Luganese, convertito in impresa sociale. Il modello è stato ripreso dalla Fondazione Francesco con il recupero della masseria di Cornaredo, mentre la fattoria Gerbone di Vezia rinascerà come laboratorio agricolo protetto.

Persino la Svizzera, considerata un modello di efficienza, in grado di proteggere i cittadini dai disagi estremi della povertà e dell’abbandono, conosce il fenomeno dei senzatetto. Si tratta, nell’immaginario collettivo, di una minoranza esigua, di irrecuperabili barboni. Se ne occupano organizzazioni umanitarie, come l’Esercito della Salvezza, che capita di vedere all’opera sulla Bahnhofstrasse di Zurigo. Ma, al di là di questa presenza visibile di emarginati senza fissa dimora, ci si trova alle prese con una categoria difficile da identificare, nascosta nelle pieghe della nostra quotidianità urbana. Qui, il meccanismo della solidarietà organizzata stenta a mettersi in moto. Paradossalmente, non riesce a trovare lo spazio materiale, morale e psicologico che meriterebbe. Tanto da smentire la tradizionale immagine elvetica di buona società.
Una citazione è d’obbligo. Nel suo ultimo saggio-testamento, Zygmunt Bauman, pensatore e visionario geniale, scomparso nel 2017, dichiarava: «Non credo esista una buona società. Una buona società sarebbe quella capace di dire a se stessa: non siamo buoni abbastanza». Sono parole che denunciano l’incapacità di andare oltre il dovuto, imposto dalle leggi, trascurando però i disagi di un sottobosco da ignorare, magari da colpevolizzare. Perché, secondo il cosiddetto buonsenso comune, quelli i guai sono andati a cercarseli. Insomma, una scappatoia per evitare di assumersi la propria parte di responsabilità nei confronti di concittadini che non riescono a tenere il passo con una normalità spesso selettiva. È una compagine variegata: comprende giovani sbandati, disoccupati, anziani isolati per destino o per scelta, artisti falliti, velleitari inconcludenti, persone fisicamente fragili. Per non parlare, poi, di chi è stato colpito da forme d’invalidità parziale e curabile, sempre che venga riconosciuta e rispettata.
Ora, da questa collettività, ritenuta un fardello improduttivo a sé stante, c’è chi ha saputo ricavare un’esperienza umana, sociale e creativa senza precedenti. Come quella, ormai storica del Tavolino Magico, legata alla figura di fra Martino Dotta, autentico «nomen omen». Che sa operare anche con la forza del sorriso…