#Approfondimenti | 20/05/2024

Il libro va di moda

Luciana Caglio

A dispetto del digitale, il libro tradizionale sembra prendersi una rivalsa, tornando di moda e divenendo un oggetto addirittura da esibire. Una tendenza passeggera? Stefano Vassere, Dalmazio Ambrosioni, Pier Fontana, Prisca Wirz Costantini, professionisti del settore e semplici fruitori non la pensano così.

Inatteso effetto Covid. A dar visibilità ai libri furono proprio gli ospiti di trasmissioni televisive, mobilitati da un’emergenza senza precedenti. Politici, in prima linea, e poi funzionari responsabili dell’ordine pubblico, medici, farmacisti, psicologi, sindacalisti, economisti, educatori. E via enumerando specialisti ad hoc. Comune denominatore, in queste apparizioni, una biblioteca alle loro spalle. Più o meno ricca e ordinata o, invece, improvvisata e squallida. In un momento di generale smarrimento, il volume assumeva, più che mai, il ruolo simbolico di depositario di cultura e saggezza.

Conclusa, e si spera irripetibile, la stagione di un forzato esilio domestico, il libro continua a godere di un’allargata popolarità. In forme diverse. Permane, certo, la funzione decorativa della biblioteca in salotto, che allinea i volumi rilegati di enciclopedie e classici della letteratura, intoccabili e intatti, pezzi quasi museali. In altre parole, testimonianze di un’epoca conclusa.
Sul futuro del libro, dei giornali, dei fogli pubblicitari incombe la minaccia, sempre più concreta, della conversione digitale. Una magica tavoletta consente di leggere tutto ovunque. In pari tempo, però, il libro tradizionale sembra prendere una rivalsa: tornando di moda. E come tale rischia di diventare un fenomeno passeggero e opinabile.
Qui si apre un interrogativo da lasciare alla competenza degli addetti ai lavori, critici in primis, impegnati a valutare la qualità reale del prodotto letterario. Mestiere, però, non al riparo da clamorosi infortuni: la «bocciatura» di Grazia Deledda, stroncata in Italia dal critico Benedetto Croce e tuttavia vincitrice del premio Nobel nel 1927. Oggi, poi, alle prese con una valanga di pubblicazioni, provocata dal «do it yourself» editoriale: chi scrive un libro è in grado di pubblicarlo per conto suo. Un’opportunità allettante, persino un obbligo destinato, in particolare, a chi professionalmente ha maturato familiarità con i mezzi di comunicazione scritta o parlata. Dal giornalismo il passo è breve, ma non scontato. L’agilità della scrittura giornalistica non sempre coincide con l’originalità creativa dello scrittore. Dino Buzzati, per citarne uno, rimane un caso non isolato, ma sempre elitario. Con ciò il giornalista che affronta la prova letteraria è una figura ricorrente, ma costretta a rimanere locale. In Ticino, dove l’esiguità territoriale ne limita la diffusione. Difficile, insomma, superare la frontiera. Pochi ci riescono.