Natàl, chi ben, chi maa e chi la minestra senza saa

 
Roberto Bottinelli

Ricordi di un Natale d'altri tempi a Lugano.

A Lugano il mercato della vigilia di Natale occupava ampi spazi: da piazza Grande si espandeva verso le attuali piazzetta Maraini e piazza Dante, spingendosi verso le scuole, al Forte e Canova, fino a San Rocco. Per i clienti con la borsa fornita si trovava ogni ben di Dio: pollastri, oche, cacciagione proveniente dall’Ungheria, capponi e galline per il brodo. Montagne di arance (i pertügài), datteri, frutta secca e la grande novità del momento, le spagnolette. Contribuivano a rendere festosa l’atmosfera anche le macellerie che esponevano prosciutti interi, agnelli e quarti di bue decorati di nastri d’argento e rami di lauro e di pungitopo, ornati di bacche rosse.

La voce del beccaio

Nei primi decenni del Novecento, in piena notte poteva capitare di udire una voce interpretare le romanze che andavano per la maggiore. Una voce roca che si perdeva per le contrade deserte. Era il beccaio, che aveva la bottega quasi di fronte alla chiesa di Sant’Antonio, dove serviva anche come sagrestano. Un personaggio, appassionato del suo mestiere e del vino che consumava in quantità. Ul Magnonèl da la vita, gran galantuomo e «bechée» di giusta fama. «La carne che macellava e che vendeva nel suo negozio era unica al mondo», scrive Attilio Rezzonico. Aggiungendo: «Nei giorni che precedevano il Natale (giorni di grande impegno per i macellai) le sue bestie, vitelli e “manzöö” che giungevano dalla campagna del Mendrisiotto, le faceva girare per le contrade cittadine, ornate di nastri colorati, al collo e alla coda, per mettere in mostra la bella e sana qualità della merce». Aveva uno slogan che sovente ripeteva: «Puaritt, ma giüst» (poveretti ma onesti). In attesa della mezzanotte si gustava «la büséca» insieme con «i maestràn» tornati da poco dalla Svizzera interna. Appena suonato «il terzo», tutti a messa, molti già sazi di cibo e di vino, tanto da assopirsi durante la cerimonia. Una situazione per niente sorprendente, tanto da coniare un detto ben noto: «l’a purtà ul Bambìn». Significava che il cristiano aveva trascorso la notte santa in preda ai fumi dell’alcol. In Verzasca si consolavano sostenendo che «el vin ch’a s bev al dì dal Bambìn u va in tant sangh» (il vino che si beve a Natale, va tutto in buon sangue).

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sull'edizione del 19.12.2025

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