La festa è sinonimo di abbondanza, soprattutto alimentare. La profusione di cibo scandisce il calendario, diventa rito, segna l’importanza della ricorrenza. Tutti coloro che nel passato disponevano di qualche soldo, non lesinavano sulle spese pur di celebrare degnamente, particolarmente a tavola, la festa di Natale. Allora si rispettava l’alternanza dei giorni di grasso, in cui i pochi mangiavano la carne, e i giorni di magro, dove si praticava l’astinenza e si mangiava, nel migliore dei casi, il baccalà, il merluzzo venduto di venerdì nelle botteghe di paese, in «pezze» salate ammonticchiate in cassette di legno.
«Pai fest, tücc i fa giò i crésp dal stomegh» (tutti si tolgono le grinze dallo stomaco, mangiano a crepapelle) si diceva, perché la gente per Natale (Denedàl) consumava cibi solitamente esclusi dalla tavola, particolarmente carne e dolci. Si consumavano il gallo e la gallina bolliti o il celebre lesso prodotto nella parte più meridionale del Cantone, «ol bianch costàa di bò dal Mendrisiòtt» (il biancostato dei buoi del Mendrisiotto).
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