#Il mio quartiere | 19/11/2024

Il quartiere di Brè parla grazie agli alunni

a cura dei bambini della scuola dell’infanzia e degli allievi della I-II elementare con le maestre Michela Bettoni e Lara Besomi.

Per conoscere meglio il villaggio dove si trovano le nostre due scuole, abbiamo svolto un percorso di studio. Siamo usciti e con le nostre maestre lo abbiamo visitato, esplorato e osservato. Poi abbiamo immaginato di interrogare alcuni elementi tipici di Brè. I loro racconti ci hanno aiutato a comprendere le differenze tra il nostro quartiere e il centro cittadino. Con un po’ di fantasia abbiamo fatto parlare il lavatoio, la fontana nel centro del nucleo, le case antiche e l’acciottolato che ricopre le viuzze.

Lavare, chiacchierare e cantare
Cominciamo dal lavatoio. «Buongiorno, sono il lavatoio di Brè, sono formato da due vasche in pietra, una serviva a lavare i panni, l’altra a sciacquarli. Da un bel rubinetto sgorga acqua pulita. Le mie sponde inclinate permettevano di far scorrere via l’acqua sporca e il sapone. Ora sono lisce e levigate perché per tantissimi anni molte donne sono venute a insaponare, strofinare e strizzare con energia e fatica il loro bucato. Queste signore mi venivano a trovare sia in estate quando era caldo e la mia acqua fredda era piacevole, sia in inverno quando era freddo e la mia acqua gelida faceva male alle mani». E tu come ti sentivi? «A me piaceva la loro compagnia. Ascoltavo i loro discorsi, le loro chiacchiere, le loro lamentele e a volte anche le loro belle canzoni. Ero orgoglioso di me stesso perché aiutavo a pulire i vestiti degli abitanti del villaggio. Non c’erano ancora le lavatrici. Intorno a me l’aria profumava di sapone di Marsiglia e di biancheria pulita. Ora sono triste, nessuno mi usa più come lavatoio. Sono quasi sempre solo e mi sento un po’ abbandonato, non profumo più di sapone e le chiacchiere e le canzoni che sentivo intorno a me sono solo un ricordo. Per fortuna in estate alcuni bambini vengono a giocare da me: si divertono, si spruzzano, si bagnano e usano le mie vasche come piscine. Questo mi fa rivivere, mi piace e mi diverte. Vengono a trovarmi anche diversi turisti che mi fotografano e mi osservano perché sono interessati a scoprire come si viveva una volta a Brè».

Non si sente il dialetto…
Anche la fontana ci ha accolto con piacere. «Ciao a tutti, mi presento: sono una delle fontane di Brè, mi trovate al centro del nucleo. Vedete: sono grande, bella e in pietra. Tanto tempo fa ero usata regolarmente dagli abitanti del villaggio. Venivano a prendere la mia acqua con i secchi e la portavano nelle case o nelle stalle perché poche famiglie avevano l’acqua corrente in casa. Al mattino e alla sera mi rallegravano le campanelle e i campanacci delle capre e delle mucche che andavano o tornavano dai pascoli. Gli animali venivano a dissetarsi con la mia acqua bella fresca, oggi non ci sono più né capre né mucche. La musica dei campanelli è sparita. Solo alcuni gatti camminano come equilibristi sui miei bordi e qualche cane, nei giorni più caldi, entra nella mia vasca per farsi un bagno ristoratore. Per fortuna la mia acqua piace ancora a tutti: agli adulti, ai bambini che si arrampicano sulle mie alte pareti per riuscire ad arrivare al rubinetto, ai fiori delle aiuole che ci sono nelle mie vicinanze. E quante borracce di turisti assetati ho riempito! Le persone si fermano da me o prima di salire verso il Monte Boglia o al loro ritorno e tutti apprezzano la mia acqua fresca. Ma la sapete una cosa strana che un po’ mi sorprende e un po’ mi rattrista? Non sento più, come una volta, parlare in dialetto. Sento tante altre lingue, diverse, che non conosco. Credo proprio che dovrò mettermi a studiarle per riuscire a capire i miei nuovi “clienti”».

Testimoni della civiltà contadina
E voi, case antiche, che cosa ci dite? «Salve a tutti, guardateci con attenzione. Siamo le vecchie case del nucleo, costruite alcuni secoli fa. A quei tempi a Brè vivevano soprattutto contadini, erano grandi lavoratori, ma erano poveri e avevano pochi soldi, perciò quando dovevano costruire delle case, delle cascine o delle stalle dovevano risparmiare il più possibile. Ecco perché siamo costruite con sassi, spesso non regolari, di diverse grandezze e forme, e di assi di legno tagliate in modo un po’ grezzo. Questi materiali poco costosi si potevano trovare nelle vicinanze del villaggio. Inoltre, siamo tutti edifici addossati uno all’altro. Così il muro di confine serviva sia per una casa sia per quella vicina. Sapete perché? Si risparmiava sui costi dei materiali di costruzione, si usava meno spazio. E il terreno a quel tempo era un bene prezioso, bisognava lasciarne libero il più possibile perché era necessario per i campi che venivano coltivati per ricavarne cibo e foraggio per gli animali. Inoltre, visto che le pareti confinavano tra loro, si evitava di disperdere il calore; per questo anche le nostre finestre sono piccole e strette. Un tempo non c’erano i termosifoni e si riscaldava solo con il camino o la stufa a legna. Siamo antiche e durante tutti questi anni abbiamo ospitato tante famiglie numerose. Abbiamo vissuto con loro dei momenti di fatica, di povertà e di dolore e ci dispiaceva molto per quelle persone. Ma c’erano anche momenti di gioia e sentivamo volentieri le risate dei bambini. Alcune di noi sono poi state restaurate e sono diventate bellissime, altre invece sono state abbandonate. Ora sono disperate perché così rovinate e rotte hanno paura di crollare».

Dagli animali ai tacchi a spillo
E l’acciottolato tace? «Ehi guardate in basso per piacere, così mi vedrete. Io sono l’acciottolato che ricopre le viuzze del villaggio. Sono formato da bellissimi ciottoli, di forme e colori diversi. Operai esperti e bravissimi hanno saputo incastrarli perfettamente tra loro per formare questa bella e variata pavimentazione. Riuscite a immaginare il grande lavoro, l’impegno, l’abilità e la fatica che hanno dovuto impiegare quei costruttori? Mi hanno posato molti, molti anni fa, ma sono così robusto che resisto ancora oggi. Una volta mi calpestavano le zoccole dei contadini, i piedini nudi dei bambini, le ruote dei carretti e delle carriole, gli zoccoli delle capre, delle mucche e di qualche asino. Adesso invece sento le ruote delle auto, delle moto e perfino di furgoni e camioncini. Anche se sono pesanti, corrono veloci e mi schiacciano, io resisto. La notte sento passi delicati sopra di me. Sono le faine, le volpi, qualche cerbiatto imprudente, i ricci e i gatti. Di giorno mi accarezzano scarpe di ogni tipo: con le suole lisce, morbide, dure, profilate o ruvide. Queste mi piacciono tutte. Però ce n’è un tipo che non sopporto proprio, quelle con i tacchi a spillo perché mi pungono tantissimo!».

Ecco come siamo diventati amici del lavatoio, della fontana, delle vecchie case e dell’acciottolato di Brè. Ora, quando li incontriamo e li guardiamo, ci sembrano così belli, interessanti e pieni di fascino. Perché? Perché è vero quanto dice la volpe al Piccolo Principe: «È molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi».