#Approfondimenti | 24/12/2023

Racconti sotto l'albero

Gianni Ballabio

«Sì c'è posto per voi» e «Questa notte sono venuto io in mezzo a voi» sono i due racconti che Gianni Ballabio ci propone in occasione del Natale.

«Sì c'è posto per voi»
Quell’anno, prima della messa di mezzanotte, era prevista una recita. Anche Rocco voleva partecipare, nonostante fosse il più piccolo dei bambini dell’oratorio. Suo papà, che entrava in chiesa solo per Natale, Pasqua e i Morti, era andato dal curato a vantar ragioni. 
La recita doveva essere semplice, suggestiva e solenne. Una sorta di presepe vivente: Maria e Giuseppe entravano dal fondo della chiesa, chiedevano ospitalità alle cappelle laterali per l’occasione adibite a osterie, ricevevano risposte scontate e fedeli al vangelo. Infine arrivavano vicino all’altare, dove già era pronto il resto del presepio. Il tutto calcolato bene: dieci minuti, tra canti e dialoghi, per arrivare giusti giusti allo scoccare della mezzanotte. 
Quale parte affidare a Rocco, che voleva recitare e non unirsi ai pastori che restavano muti? Il prete decise di fargli fare l’oste all’ultima osteria. Doveva dire soltanto un bel «no, non c’è posto per voi». Alle prove tutto andò a meraviglia. Rocco fu pronto a rispondere un bel «no, non c’è posto per voi» sulla faccia di San Giuseppe, quasi avesse un conto da regolare. 
La sera di vigilia a casa di Rocco era giunto un vecchio zio, del tutto inatteso, dopo anni e anni di silenzio, e sbucato da chissà dove. Raccontò la sua vita di emigrante, vita grama. Il bambino lo seguiva a bocca aperta, guardando quel volto di rughe, ma tenendo anche d’occhio la grande sveglia che stava sulla credenza, per non fare tardi in vista della recita. 
Fu puntualissimo. Si mise su uno sgabello, ripassando in continuazione la sua parte: «No, non c’è posto per voi», «No, non c’è posto per voi», «No, non c’è posto per voi»... Si sentiva sicuro: non avrebbe sbagliato. Intanto pensava alle parole dello zio. Soprattutto era rimasto impressionato da un fatto. Aveva raccontato che, appena partito, era stato costretto per notti e notti a dormire in posti di fortuna, anche se faceva un freddo boia, perché nell’attesa di trovare un lavoro non aveva soldi. «Per tante notti ho fatto anch’io la fine di Maria e Giuseppe a Betlemme». «Non è giusto» pensò Rocco. Lo riportò alla realtà il curato con una manata sulla spalla: «In piedi, si comincia!». Si alzò e si mise ben fermo davanti allo scenario che rappresentava una porta con sopra l’insegna «Taverna del caval grigio». 
L’organo partì, si snodò un primo canto, si spensero le luci, mentre i pastori accendevano le loro torce in diversi punti della chiesa, da dove poi avrebbero raggiunto la grotta. Era la prima volta che facevano dal vero: con musiche, luci, costumi e Rocco si accorse che non era come nelle prove. Vide Maria e Giuseppe, seguiti dal curato, dai chierichetti e da alcuni pastori, fermarsi alla prima cappella e ricevere il rifiuto. Poi li vide avanzare verso il secondo posto, ricevendo la medesima risposta. Facevano compassione. 
Quando arrivarono davanti a Rocco, in quella che doveva essere l’ultima tappa prima della capanna, lui si vide davanti due persone sofferenti, stanche, quasi piangenti. «Avete un posto per noi?», chiese Maria con un fil di voce, seguendo il copione. «Anche solo un angolo di solaio, un sottoscala, un ripostiglio», aggiunse con voce stanca Giuseppe. Rocco non capì più niente. Vedeva davanti a sé solo due persone che chiedevano aiuto e nei loro sguardi ritrovava il raccontare del vecchio zio, rimasto per lunghe notti senza una casa. «No, non c’è posto per voi», bisbigliò il curato, che stava poco dietro, preoccupato dall’inatteso silenzio di Rocco e convinto che stesse perdendo la sua battuta. 
Ma Rocco non l’udiva, vedeva davanti a sé solo quei due poveracci e così, improvvisamente, quasi senza pensarci, disse: «Ma fi cumpasiun, in ca mia gh’è mia posct, parché gh’è rivà ul me zio, un poro diavul anca lü....ma sa po vedé, forsi quaicòs a trovum». 
Maria lo fissò sbigottita e il curato attaccò subito un canto, dando uno spintone ai due giovani sposi, perché raggiungessero la grotta. Rocco, non sapendo più cosa fare e cominciando a capire che la sua recita non era andata per il verso giusto, scappò in sacrestia e da lì, per una porticina laterale, fu sul sagrato e subito a casa, con ancora addosso i panni da oste. 
I suoi erano a messa e nella grande cucina, vicino al fuoco, s’era appisolato il vecchio zio. Rocco gli si sedette di fronte sulla panca. «Ho fatto bene – pensò – Così ho dato una lezione a tutti, a cominciare dal curato, che ci insegna le cose sbagliate. Non si fa così con la povera gente che non sa dove andare». Quando i suoi tornarono dalla messa li trovarono tutti e due addormentati. Il vecchio zio e Rocco, vestito ancora da oste: l’unico che per una volta non aveva detto di no a Maria e Giuseppe giunti stanchi a Betlemme. 

 

«Questa notte sono venuto io in mezzo a voi»

Il vigile lo guardò, si fermò, passò oltre; si voltò ancora prima di girare l’angolo. Quel viandante davanti alla vetrina non gli piaceva. Non era una faccia cattiva, ma strana. «Quello non è uno di qua», disse al collega che veniva a dargli il cambio. «Tienilo d’occhio». Il vento si riversava a grandi folate sulla piazza, dove s’affacciavano negozi traboccanti di gente e di cose. Pacchi, pacchetti, sporte, borse, cesti. Con il vento, che sapeva di neve, giungevano ondate di musica. Il nuovo vigile lo squadrò a sua volta. «Forse aspetta qualcuno. Ma ha un’aria di casa, viene certamente da un paese vicino. Magari è un contadino – pensò, passandogli accanto – forse un falegname». 
Oltre la piazza cominciava il viale alberato, di cui non si scorgeva la fine. Le macchine sfrecciavano, come il vento, l’aria era sempre più fredda, la luce meno forte. Guardò in alto. Scendeva la notte. Salì alcuni gradini; si trovò in una grande sala: luminosa, calda, accogliente. Una ragazza gli sorrise: «Vuole una camera? Serve un documento». Lui non l’aveva. E si ritrovò in strada. Altri gradini più avanti. «È tutto pieno, cerchi da un’altra parte». Ora la strada era buia; quasi deserta. 
Fuori trovò un uomo, solo. «Hanno risposto così anche me, non prendertela. Vieni...». S’incamminarono. In silenzio. Le case avevano un’aria di festa. Lasciata alle spalle la città, s’apriva la campagna: vasta, scura, gelata. La strada finiva in un sentiero. Ai lati alberi, roveti, macchie di neve. In alto le stelle sembravano raddoppiate. «Guarda quella! – esclamò il viandante – sembra la cometa del mio presepio. Ma allora era un’altra cosa». 
In lontananza brillavano alcune luci. «Perché siamo venuti?». «Per trovare un posto dove dormire, un pezzo di pane. Per non stare soli, almeno a Natale. Non chiedono nulla: né soldi, né passaporto. Nemmeno ti chiedono il nome». Il viandante appariva stanco.
«Che mestiere fai?», chiese all’improvviso il suo compagno, scrutandolo. «Per un po’ ho fatto il falegname». «L’avevo immaginato, e adesso sei disoccupato come me. Ti troverai bene: hanno sempre bisogno di qualcuno che ripari una baracca, sistemi i recinti, faccia uno sgabello. Potrai renderti utile. Loro sono pastori. Adesso sono scesi al piano, in alto c’è neve, ma in marzo ricominciano a salire. Poi ridiscendono di nuovo. Una vita così». «Una vita dura». «Meglio che starsene tutto il giorno incollati a un computer, come in prigione»
Erano arrivati. Nel mezzo, fra le baracche, c’era un gran fuoco. Alcuni uomini stavano seduti, in cerchio, nel silenzio. Uno gli porse una ciotola fumante. «Bevi: ti riscalda». Era un vino forte, caldo, dolce. Anche il pane era buono. Fatto da loro. La ciotola del vino caldo ogni tanto rifaceva il giro, dopo essere stata riempita. E anche il pane. In silenzio. Lentamente. Come un rito. Il tempo sembrava fermo. Poi improvvisamente il viandante parlò: «Quella notte eravate venuti voi da me. Ma questa notte sono venuto io in mezzo a voi».