#Cultura | 01/09/2022

Sofsky, cinque ragazzi super/sonici

Flavio Calaon, giovane compositore e arrangiatore luganese, nonché tastierista dei Sofsky, racconta la (sua) band che abbiamo visto in azione a Lugano nell’ambito de La Quairmesse.

Il progetto Sofsky incomincia a sagomarsi nel corso della primavera 2019 per mano di Giona Mattei (basso) e Stefano Chiassai (chitarra), coloro i quali, per oltre un decennio, stazionarono alla guida dei Kovlo, imprescindibile band post-rock che, non tanto tempo prima, chiudeva una prodigiosa epopea, portando con sé un corollario di cinque album e tour giunti fino in Asia. Di lì a poco, i due musicisti coinvolgono l’ex Plain Nicola Poretti (voce), dando vita ai primi embrioni sonori, per poi reclutare l’ex Flanard Flavio Calaon (tastierista), assai prolifico a livello individuale, così come con il duo Shindo. Dopo le registrazioni dei primi tre singoli – «Origami Dog» (2019), «Tennis Table» (2020) e «Whirlpool» (2021) – messi a punto con Fabio Giangrande (batteria, ex Kovlo), a quest’ultimo subentra l’ex BWS Dimitri Loringett, grazie al quale il progetto Sofsky assume la sua forma definitiva.
Tant’è vero che la band, pochi mesi dopo, rientra in studio munita delle nuove composizioni raccolte nel primo (e per ora unico) album, omonimo, pubblicato lo scorso 25 marzo con la label italiana Seahorse Recordings. Sette tracce – più i primi tre singoli, qui considerati bonus track – completano un disco di esordio ammaliante, costruito da arpeggi, riverberi e distorsioni all’interno di un limbo in costante crescendo, mentre synth e linee vocali si intersecano, modulando l’insieme, per dare vita a un amalgama stilistico esemplare: tasselli post-rock (di casa Kovlo), ineludibili, dentro cui risuonano – con prepotenza – psichedelia, post-punk e, soprattutto, shoegaze.
«Devo dire, in primis, che amo molto la modalità utilizzata dal gruppo a livello compositivo: la suddivisione delle parti è straordinaria e, nel contempo, fondamentale – racconta Flavio Calaon – Ognuno di noi sottopone agli altri le proprie idee, che poi rielaboriamo insieme, in sala prove». Un modo di lavorare figlio del fatto che ognuno possiede il proprio stile? «Esattamente, nessuno è la copia dell’altro. Il basso di Giona è sistematicamente punk oriented, quasi gracchiante, mentre Stefano, con i suoi arpeggi, si muove dentro nuvoloni sonori. Il mio approccio electro lo definirei distintamente di fattura ’70s/’80s. Nick, dal canto suo, è più vicino al brit-pop, e Dimitri alla new wave, al jazz, all’avanguardia. Un caos (ri)ordinato, non facile da descrivere. Molto in sintesi, ritengo che all’interno del gruppo si sia creato un linguaggio assolutamente in grado di funzionare». Siete al lavoro su nuovo materiale? «Sì, su un singolo. Ma è da raffinare. Direi che si avvicina a “Origami Dog”. L’uscita è prevista prima di fine anno».
Intervista integrale su MusicalMonitor.com

Marco Sestito