#Pensieri diversi | 05/12/2021

Una favola vera fatta di stelle

Lei diceva: «non ci sono mai stata, ma in cielo c’è traffico, molto più traffico di quanto  immaginiamo». La vita è un miracolo. E un miracolo che accade non può essere accaduto solo qui. 

di Denise Carniel

L’universo non ha pareti e se un giorno riuscissimo ad identificarle, a ridurre tutto a un contenitore, inizierei a pormi domande sul loro spessore. Lei credeva che siamo parti di pianto che si trasforma in canto, dolore che si acquieta e si addolcisce ma non sparisce, parti della crepa del mondo, lampi e tuoni, terremoti senza cura, zucchero e sale, neve anche d’estate da abbracciare. E aveva capito che ci sono le P.R.N., termine utilizzato nelle prescrizioni mediche e che deriva dal latino «pro re nata», ovvero secondo necessità, al bisogno, quando le circostanze lo richiedono. Terapie da assumere: antidolorifici, antinfiammatori, ma soprattutto gli abbracci, i «ti voglio bene», i «comunque vada, sono con te».
 
Lei adulta fin da subito, senza sconti di carezze a mano aperta e abbracci tra seni imponenti. Figlia di donna impietrita, mancanze così antiche da perdersi in anni con troppe cifre appiccicate addosso. Aveva deciso di crescere senza fare rumore. Non aveva dipinto le pareti della camera, l’unico spazio in cui si concedeva di scrivere, di nascosto, era la sua pelle. 

Aveva continenti incisi addosso. E c’era sempre posto, tra le spalle, per aggiungere particolari: un bacio diventava una cascata, un pugno un crepaccio, una carezza distratta un deserto. Sul tappeto sparsi solo dubbi, come coriandoli: se li guardi bene, i dubbi sono gentili come i condizionali. Ti permettono di respirare e non ti raccontano mai la fine della storia.

Traduceva poesie con l’istinto di profuga, che aveva avuto in dono alla nascita. Era polvere di roccia. Aveva briciole e sentieri tra mille idee e una casa ritagliata negli spazi fra le costole, ancora da arredare. Aveva imparato che la notte ha una vestaglia con le ali, un sorriso tiepido, un bacio sulla fronte e grandi mani da scaldare. Sì lo so, ha anche, se guardi bene, dei solchi sulla schiena, poco sotto le scapole, dove la spina dorsale si dimentica che la torsione fa male. Ha libertà inespresse da seminare, in quei solchi arati dal disprezzo di chi non precipita mai e quando scivola non sente il tonfo. Libertà lasciate a germogliare senza coraggio manifesto. Ma anziché perdersi in calcoli i cui i risultati non eran mai rotondi, sorrideva all’alba ancora umida di notte. A braccia tese e ad occhi chiusi, stava lì ad accarezzare il freddo, a scaldar gialle rugiade pallide. Per questo le sue speranze crescevano rigogliose. Traballava sotto i colpi dell’amore: chissà perché, s’era convinta fin da piccola che amare fosse cosa buona, s’era messa in testa che amare facesse rima con dare e con riposare. Ha sempre fretta e fiori rigogliosi sul balcone. Non li prende mai già nati, ma parte dal seme per non perdersi neanche un minuto. Prepara piantine per abbracciare amiche lontane e tesse trame d’incontri. Ricuce ciondoli di pelle sfatta. Così come aveva capito che le cose che hanno un senso nella vita sono poche: si fa in tempo a contarle nello spazio di un sorriso. Si raccolse, che ora stava tutta in una mano, e poteva godere il cielo, che visto da sotto sembrava più grande. Aveva smesso d’affannarsi per conquistare salite scoscese. E si ritrovò con briciole, misure e paure da far su in un fagotto e donare alla vetta del giorno, tra pesci farfalla e passi nuovi, perché siamo tutti ruote gemelle di una favola vera, fatta di stelle.

Collezionatele, io vi regalo le mie.

Leggi tutto l'articolo
sull'edizione del 06.08.2021

Accedi per leggere Abbonati

#Pensieri diversi

#Pensieri diversi
Inseguite la felicità
#Pensieri diversi
Colori sul nuovo giorno
#Pensieri diversi
I Luoghi dell’anima