#Pensieri diversi | 05/12/2021

Impariamo a trattarci con gentilezza

«Ho imparato che ogni cosa è passeggera. Momenti, emozioni, persone, fiori. Ho imparato che l’amore sta nel donare, tutto».

di Denise Carniel

«Ho imparato che la vulnerabilità è sempre la scelta giusta perché è facile essere insensibili in un mondo che rende tanto difficile restare teneri. Ho imparato che tutte le cose esistono in coppia: vita e morte, dolore e gioia, sale e zucchero, io e te; è l’equilibrio dell’universo. È stato l’anno di un dolore bruttissimo, ma di una vita bellissima; rendere amici gli estranei, rendere estranei gli amici. Impariamo a trattarci con gentilezza l’un l’altro, solo così potremo imparare a trattare con gentilezza le parti più disperate di noi stessi».
 
Amo questi passaggi della scrittrice Rupi Kaur: fanno capire come sia possibile ricucire gli strappi della vita e, perché no, ricamarci sopra poesia. È per questo che parlo di questi temi nelle scuole. Credo che tramite l’educazione alla responsabilità civica, all’empatia e alla sensibilità sia possibile che nel mondo ci siano meno limiti invalicabili. Spiego ai ragazzi che la vera forza sta proprio nel fatto che ognuno di noi, singolarmente, può essere capitale: essere brava gente, di sani principi, senza troppi grilli per la testa, persone che quella testa la tengono salda sulle spalle in modo che sia ben collegata al cuore.

Ridisegnare i contorni del qui e ora. Perché, credetemi, qui non è un posto. È più una sensazione. Vincolati alla libertà. Per questo, vogliamo parlare di barriere? L’uomo può imparare a nuotare e se non lo fa è per mancanza di stimoli; il pesce, al contrario, non può imparare a camminare sulla terra nemmeno se lo desidera. Per questo rendere accessibile ogni angolo di mondo è una questione di desiderio, di parità. Una società priva di barriere – partendo da quelle architettoniche – è un esercizio di responsabilità estremamente urgente che chi di dovere dovrebbe assumersi: farlo è giustizia sociale. Significa moltiplicare i respiri, come se fossimo ossigeno l’uno per gli altri. Perché in fondo cos’è la vita se non un continuo tentativo di respirare per poter avere la forza di respirare ancora? Fateci caso: la formula chimica dell’ossigeno è una «o», che non è nient’altro che un cerchio. E all’interno di quel cerchio, noi ci sguazziamo, sostenendoci a vicenda. Saggi, folli, anomali. Come fossimo «salva pietre» in grado di toccare i sassi più ruvidi e vedere l’amore che scorre sotto i loro strati, dando dignità ai «tempi feriti» – quelli nascosti tra fini e inizi difficili – facendo addormentare le stelle che non brillano ancora. 

Immaginiamoci dispensatori di gioia, inventori di nuvole nuove dense di sole e zucchero filato, riempitori di vuoti. Questo ci permetterà di non avere più scalini troppo alti, vicoli troppo stretti, porte invalicabili, esigenze impossibili. I gesti che fai, come fossero la casa in cui vivi, nella penombra di un nuovo domani.

Dopotutto basta poco, un appuntamento fisso, per ballare insieme sopra le macerie di qualsiasi muro, siate colla e non spazio, tra occhi di lacrime e labbra di sorrisi.

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sull'edizione del 09.07.2021

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