#Di venerdì | 17/12/2021

Ex macello, non ci fu nessun reato

A distanza di sei mesi dalla demolizione dell’ex macello, c’è un primo punto fermo nella vicenda che ha scosso l’opinione pubblica e infiammato il dibattito politico. A metterlo è stato il procuratore generale Andrea Pagani.

di Ivan Pedrazzi
 
Pagani ha stabilito che non sono imputabili reati a chi ha preso le decisioni e coordinato le operazioni. Il Ministero pubblico ha in effetti archiviato l’inchiesta con un «non luogo a procedere», che scagiona sia i municipali sia gli ufficiali della polizia che, lo scorso 29 maggio, hanno autorizzato e condotto l’intervento delle ruspe in viale Cassarate. L’intento delle autorità era quello di impedire un eventuale tentativo di rioccupazione del Centro sociale, che avrebbe potuto mettere a repentaglio l’incolumità delle persone. Compresi gli autogestiti, che in giornata avevano abbandonato la propria sede per inscenare una manifestazione in città, sfociata poi nell’occupazione abusiva del palazzo disabitato della Fondazione Vanoni, in via Simen. La goccia che ha fatto traboccare il vaso: il Municipio – che aveva stabilito a maggioranza che qualora il corteo degenerasse sarebbe scattato lo sgombero – ha confermato la decisione eseguita nella notte sotto il controllo della polizia.

Molti hanno gridato allo scandalo e paventato violazioni di leggi, che l’inchiesta ha però smentito. Agendo in uno stato di necessità, il reato di abuso di autorità è caduto. Non sono stati ravvisati neppure gli estremi per il reato d’infrazione delle regole dell’arte edilizia e della legge sulla protezione dell’ambiente: i quantitativi minimi di amianto e altre sostanze nocive rinvenuti tra le macerie non costituivano una minaccia per la salute della popolazione. Ma era proprio necessario radere al suolo parte del vecchio mattatoio per ripristinare la sicurezza nei luoghi dell’autogestione? L’inchiesta ha appurato che si è andati oltre le intenzioni a causa di un errore di comunicazione verificatosi all’interno della catena di comando: un fraintendimento tra due ufficiali, ha spiegato il pg Pagani. L’autorizzazione per demolire parte dello stabile (il tetto) e murare porte e finestre partita dallo Stato maggiore di Bellinzona è stata interpretata dal capo impiego presente sul posto a Lugano come ordine di procedere all’abbattimento tout court del fabbricato. Cosa che le ruspe hanno liquidato in poche ore.

Questa, per sommi capi, la ricostruzione accertata dal Ministero pubblico, il cui decreto è comunque passibile di reclami. L’avvocato Costantino Castelli, patrocinatore dell’associazione Alba, vicina al Centro sociale, ha letto le conclusioni dell’inchiesta come un’«arrampicata sui vetri», senza tuttavia sbilanciarsi su un eventuale ricorso. Per i Verdi e la sinistra, la faccenda non è conclusa e spiegazioni dovranno essere date sul piano politico. Inchieste amministrative sono già state annunciate sia dalla Sezione cantonale degli enti locali, sia dal Municipio di Lugano. A Palazzo Civico, il decreto d’abbandono è stato invece accolto con sollievo. «Conferma la versione che abbiamo sostenuto», hanno dichiarato il sindaco Michele Foletti e la collega Karin Valenzano Rossi, responsabile del Dicastero polizia. Insomma, se sul piano giuridico alcune risposte sono arrivate, altri interrogativi restano in attesa di chiarimenti in sede istituzionale.