#L'ora di scienze | 05/12/2021

Stelle dantesche

Che il sole sia una stella e che le stelle siano altrettanti soli fu chiarito secoli più tardi e la parola «stelle» aveva, ai tempi di Dante e ancor dopo, un significato diverso da quello di oggi.

di Marco Martucci

«Stelle» poteva comprendere anche altri corpi celesti e non solo le stelle come le intende la scienza attuale.
La cosmologia antica immaginava le stelle fissate su un supporto rigido, il firmamento che, all’orizzonte, si congiungeva con la superficie: era il confine fra terra e cielo. In seguito, questo firmamento fu sostituito da sfere concentriche e trasparenti, una delle quali ospitava le stelle cosiddette «fisse», quelle delle costellazioni, per distinguerla dalle sfere dei pianeti, dalla luna e dal sole. Le sfere celesti sono un modello ormai sorpassato, ma il cielo di notte ci appare davvero come una cupola di velluto nero tempestato di diamanti. Tutte le stelle ci sembrano alla stessa distanza da noi, perché sono talmente lontane che i nostri occhi non riescono a capacitarsi della reale distanza. Ci sono stelle vicine e stelle lontanissime, talmente lontane che la loro luce ancora non ci ha raggiunti. Non tutto quello che brilla in cielo è una stella. Ci può essere qualche pianeta, qualche galassia o nebulosa, magari una lontana cometa. Ma la maggior parte sono davvero stelle. Quante ne vediamo ad occhio nudo? Non più di qualche migliaio, fra tre e quattromila. Dipende. Sotto un lampione non ne vedremo neppure una. Nel cielo sopra una città ne scorgeremo pochissime. Per vederne tante, per avere l’impressione che il cielo ci caschi addosso, uno spettacolo da togliere il fiato, bisogna avere una notte serena e buia, lontano da fonti di luce, senza luna e in una vasta pianura, sulla vetta d’un’alta montagna o in mezzo al mare. L’inquinamento luminoso, purtroppo in aumento, ha tolto a molti il piacere di vedere il cielo stellato.

Le stelle e, con esse, il sole che è la stella a noi più vicina, sono corpi celesti che brillano di luce propria.

Ma come fanno a produrre questa luce, e il calore? Fino a non moltissimi anni or sono, questo era un bel grattacapo per la scienza. Fra le tante ipotesi, qualcuno supponeva che, nel sole, qualcosa bruciasse.

Fu solo verso l’inizio del Novecento che si capì come stanno realmente le cose. L’energia del sole e di tutte le altre stelle non nasce da una combustione ma da una reazione nucleare, una fusione nucleare, ben diversa da una reazione chimica, come il carbone che brucia. Nella fusione, i nuclei degli atomi di idrogeno, l’elemento più leggero e più abbondante dell’universo, si uniscono fra loro per formare nuclei di un altro elemento, l’elio, scoperto analizzando la luce del sole, in greco «hélios». La fusione nucleare avviene dentro le stelle, a temperature e pressioni elevatissime.

Dentro il nostro sole si arriva fino a quindici milioni di gradi. Fuori, il sole è meno caldo, solo, si fa per dire, seimila gradi. Per le altre stelle, più o meno, è così. Ma solo più o meno. Infatti, non tutte le stelle sono uguali.

Già a occhio nudo ci rendiamo conto che ci sono stelle più luminose e meno luminose, gialle, rossicce o bluastre. Ci sono stelle più o meno calde e stelle giovani e stelle vecchie. Le stelle, come tutto quanto nell’universo, invecchiano. Non c’è nulla di eterno, nel mondo materiale. Anche il nostro sole si spegnerà ma, fino a quel giorno, passeranno almeno cinque miliardi di anni.

 Dante, del quale celebriamo quest’anno il settecentesimo della morte, conclude le tre cantiche della Divina Commedia con la medesima parola: stelle.

L’Inferno: «e quindi uscimmo a riveder le stelle». Il Purgatorio: «puro e disposto a salire alle stelle». Il Paradiso: «l’amor che move il sole e l’altre stelle».

Proprio «altre stelle» parrebbe suggerirci che Dante ritenesse, con largo anticipo sui tempi, che il sole sia una stella, come quelle che vediamo nel cielo notturno.

 

Nella foto: La Divina Commedia illumina Firenze,  affresco di Domenico di Michelino (1465).

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